Allergie e intolleranze sono in continua crescita. Se negli anni ´80 ne soffriva il 2,9% della popolazione, oggi il problema tocca il 12,9%. Un gran numero di persone ha difficoltà a tollerare il lattosio, zucchero naturalmente presente nel latte e nei suoi derivati. I sintomi si manifestano prevalentemente con disturbi nel tratto intestinale e sono causati dalla carenza di lattasi, enzima deputato alla digestione del lattosio. Una diagnosi accurata, e il ricorso a ingredienti privi di questo zucchero, consentono di ritrovare il benessere. Questa breve guida può aiutarvi.
Cos’è l’intolleranza al lattosio?
L’intolleranza al lattosio è legata alla carenza dell’enzima lattasi, prodotto nell’intestino per scomporre il lattosio negli zuccheri più semplici che lo compongono, glucosio e galattosio, in modo che possano essere assorbiti. Questa carenza, che colpisce fino al 50% della popolazione, può essere attribuita a fattori genetici, etnici, a particolari condizioni che alterano l’equilibrio dell’intestino, come la celiachia, o la gastroenterite. In alcuni casi, la riduzione dell’attività dell’enzima, compare a causa dell’avanzare dell’età. L’incidenza dell’intolleranza al lattosio varia notevolmente. Le persone di origine asiatica, africana e alcune popolazioni indigene americane tendono a presentare una maggiore prevalenza di intolleranza al lattosio rispetto a quelle di origine europea.
Sintomi
I sintomi dell’intolleranza al lattosio possono variare in intensità e si manifestano di solito entro poche ore dopo il consumo di alimenti contenenti lattosio. Tra più comuni troviamo gonfiore addominale, diarrea, crampi, flatulenza, nausea e cefalea. La gravità dei sintomi dipende dalla quantità di lattosio consumata e dalla quantità di lattasi presente nel sistema digestivo.
Diagnosi e test
Poiché questi sintomi sono riconducibili anche ad altri problemi, è sempre consigliabile ricorrere a una diagnosi precisa. Uno dei metodi diagnostici più utilizzati è il Breath test, un test del respiro che prevede l’assunzione orale di una soluzione contenente lattosio, per poi misurare la quantità di idrogeno espirato, che aumenta se il lattosio non viene digerito correttamente. A integrazione di questa prova ci sono poi test genetici che si effettuano su un campione di saliva, o un prelievo di sangue.
Alimenti contenenti lattosio
Oltre a latte, formaggi, yogurt anche altri alimenti possono contenere lattosio perché realizzati con i latticini. Diversi tipi di pane e i dolci sono solo un esempio. Eliminare il lattosio può quindi essere un compito impegnativo. Tuttavia, molte delle persone che non tollerano questo zucchero in quantità elevate possono sopportarne piccole dosi senza problemi.
Gestione e trattamento
In caso di intolleranza dimostrata, la strategia migliore è comunque quella di ridurre il più possibile la sua presenza nel menu. Per selezionare i prodotti confezionati, come dolci e altre preparazioni, è importate leggere attentamente le etichette per individuare la presenza di latte e derivati. Rispetto ai latticini veri e propri, diversi formaggi stagionati, fra cui il grana ed altri prodotti tipici regionali, sono naturalmente privi di lattosio perché durante il processo di maturazione i batteri presenti trasformano questa sostanza in acido lattico. Nel gruppo di latte e latticini freschi, il mercato offre poi sostituti che tramite opportuni trattamenti vengono privati del lattosio. Ci sono, infine, alternative vegetali ai latticini freschi che non contengono originariamente lattosio.
Non rinunciare a varietà ed equilibrio
Questi prodotti vegetali, come latte e formaggi derivati da cereali, soia ed altri legumi, non hanno però le stesse caratteristiche nutritive dei corrispettivi di origine animale. Per mantenere l’equilibrio alimentare è quindi importante compensare l’eventuale mancanza di latticini con fonti alternative di calcio e vitamina D. Verdure a foglia verde, mandorle, sardine e alimenti fortificati sono opzioni che possono contribuire a soddisfare le esigenze nutrizionali.
Senza lattosio: qual è il segreto?
I latticini senza lattosio rappresentano una soluzione utile per chi desidera godere dei benefici nutrizionali del latte e dei suoi derivati senza dover affrontare i sintomi dell’intolleranza al lattosio. L’ampia gamma disponibile rende possibile integrarli facilmente nel menu quotidiano.
La produzione
Avviene attraverso l’aggiunta dell’enzima lattasi al latte, che permette di suddividere il lattosio in glucosio e il galattosio. Questo processo simula l’azione naturale dell’enzima nel nostro sistema, rendendo il prodotto più facilmente digeribile.
I prodotti
Latte, yogurt, formaggi freschi sono disponibili interi, o parzialmente scremati e scremati. I formaggi vengono prodotti totalmente privi di lattosio, oppure con un contenuto ridotto di questo zucchero.
Il valore nutritivo
I latticini senza lattosio conservano gli stessi valori nutrizionali dei loro omologhi convenzionali. Possono essere una buona fonte di proteine, calcio, vitamina D e altri nutrienti essenziali.
Leggere le etichette
Al momento dell’acquisto, è fondamentale leggere attentamente le etichette per verificare che il prodotto sia effettivamente senza lattosio. Meglio tenere presente che alcuni prodotti senza lattosio possono contenere altri additivi o sostanze per migliorare la consistenza o il sapore. Verificare quindi gli ingredienti, soprattutto se si hanno particolari restrizioni o preferenze.
AlpiYò Valtellina, lo yogurt senza lattosio
Lo yogurt senza lattosio è diventato una scelta sempre più popolare per coloro che desiderano godere dei benefici dello yogurt senza gli inconvenienti legati al lattosio. Ma come si ottiene questa variante e qual è il suo gusto? Il processo di fermentazione è simile a quello dello yogurt tradizionale. La digestione del lattosio attraverso la sua scomposizione in glucosio e galattosio avviene aggiungendo l’enzima lattasi durante la lavorazione. AlpiYò senza lattosio ha un gusto sorprendentemente simile a quello dello yogurt tradizionale. Conserva quindi il suo profilo acidulo, il delicato aroma del latte di Valtellina, la gradevole consistenza cremosa derivata dal lungo ed accurato processo di lavorazione. Gli amanti dello yogurt possono utilizzarlo senza preoccuparsi degli effetti indesiderati del lattosio. La versione al naturale è una base ideale per tante ricette dolci e salate. Provatelo in aggiunta a fiocchi di cereali, frutta di stagione e semi oleosi come nocciole e mandorle, per la prima colazione, oppure arricchito con olio evo e erbe aromatiche, per esempio per condire verdure e patate bollite a pranzo o a cena.
Le proteine sono essenziali per salvaguardare l’equilibrio e assicurare il rinnovamento dei tessuti. Il loro fabbisogno può aumentare quando si svolge attività fisica e in altre situazioni particolari. Tuttavia non è necessario ricorrere alle diete iperproteiche di moda in passato, soprattutto per dimagrire. L’eccesso proteico non è più visto di buon occhio. Nel mondo scientifico si raccomanda di non eccedere con le proteine di origine animale lasciando spazio anche a quelle vegetali, che hanno diversi pregi nutritivi e aiutano, fra l’altro, a risparmiare preziose risorse ambientali.
Di Elena Folli
Le differenze fra proteine animali e vegetali
Tutte le proteine sono formate dalle stesse sostanze di base: gli aminoacidi. Alcuni di questi sono essenziali, perché non siamo in grado di sintetizzarli a partire da altre sostanze, come invece succede per gli aminoacidi non essenziali. I cibi hanno una composizione di aminoacidi differente per tipologia e quantità. Quando uno degli aminoacidi essenziali scarseggia, si parla di aminoacido “limitante” in riferimento alla sintesi delle proteine che sono necessarie per noi. I cereali, ad esempio, hanno una deficienza relativa di lisina e triptofano. I legumi, fra i vegetali più ricchi di proteine, contengono buone quantità di lisina, ma sono carenti in metionina. I semi oleosi, come le mandorle, rappresentano una buona fonte di metionina e triptofano. I cibi di origine animale, in particolare carne, pesce, uova e latticini, hanno una composizione più affine al nostro corpo, di conseguenza forniscono un’elevata quantità di aminoacidi essenziali in una forma facilmente utilizzabile. Tuttavia, anche questi ingredienti contengono un aminoacido limitante (metionina o triptofano). La sua concentrazione raggiunge però livelli sufficienti per garantire l’ottimale svolgimento della sintesi proteica.
Quante di proteine?
Il mito delle diete bistecca e insalata sembra comunque essere definitivamente caduto, anche per le ricadute negative sull’ambiente. Si è visto che consumarne quantità elevate di cibi animali aumenta la produzione di insulina e di IGF-1 (fattore di crescita insulino simile di tipo 1) collegati a un maggior rischio di soprappeso e malattie degenerative. Va poi aggiunto, che una dieta eccessivamente ricca di proteine animali favorisce l’acidificazione dell’organismo, fattore di rischio di osteoporosi e infiammazioni, può compromettere l’equilibrio della flora intestinale (che trae invece beneficio dai vegetali) ed è spesso associata a elevate concentrazioni di grassi saturi e altre sostanze potenzialmente dannose per i vasi sanguigni. Ma non sembra raccomandabile nemmeno esagerare con le proteine vegetali, tanto più se ricavate da estratti concentrati, per esempio a base di soia o glutine. Le ricerche sembrano dimostrare che un eccesso di proteine danneggia la salute quando un abuso di grassi e carboidrati. Mantenere un’apporto proteico di circa 0,8 g per chilo di peso corporeo, come suggeriscono i Larn (livelli di assunzione di nutrienti raccomandati per la popolazione italiana) pare favorire salute e longevità. Solo dopo i sessanta, i ricercatori suggeriscono di passare 1,1-1,2 g per chilo, per bilanciare al rallentamento della sintesi proteica. Quando non ci sono esigenze speciali, a causa di problemi di salute da valutare con il medico curante, di più non serve.
Le proteine vegetali bastano da sole?
Se si variano adeguatamente gli ingredienti vegetali e si mescolano ogni giorno fra loro diverse fonti proteiche, abbinando legumi, cereali, e semi oleosi è possibile raggiungere concentrazioni adeguate di aminoacidi essenziali. Si parla in questo caso di mutua integrazione, o di proteine complementari. L’organismo è in grado di costruire quotidianamente una riserva di aminoacidi cui attingere per produrre le proteine che gli servono. La sintesi proteica si può dunque realizzare anche se gli aminoacidi necessari sono distribuiti nei differenti pasti, e non concentrati in un’unica occasione alimentare. A patto di non seguire un menu povero di calorie. Non è quindi sempre obbligatorio consumare proteine complementari all’interno dello stesso pasto: in condizioni di equilibrio l’organismo ha la possibilità di attingere alle sue “riserve” endogene per coprire carenze specifiche.
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Come utilizzare le proteine vegetali
Solo la carenza protratta di un aminoacido essenziale può compromettere la sintesi proteica. Questo avviene più frequente quando la scelta cade su un solo tipo di fonte proteica per un periodo prolungato, in questo caso le scorte rischiano di esaurirsi e ciò può impedire l’utilizzo degli altri aminoacidi presenti per la sintesi proteica. Di conseguenza nelle diete vegetariane, e soprattutto in quelle vegane, le riserve possono essere piuttosto esigue ed esaurirsi rapidamente se non viene assunta, ogni giorno, un’ampia varietà di cibi vegetali. Va poi tenuto presente che il coefficiente di utilizzazione delle proteine vegetali, a parte alcuni concentrati purificati derivati dalla soia, può essere ridotto dal 10 al 50% per via delle fibre e di altre sostanze presenti . Gli esperti della Sinu (Società Italiana di Nutrizione Umana) suggeriscono quindi a chi segue diete vegetariane e vegane di aumentare l’apporto di proteine del 5-10% .
I pregi nutritivi delle proteine vegetali
Le proteine vegetali hanno comunque indubbi pregi e non vanno trascurate nel menù. Per prima cosa sono abbinate a numerose sostanze protettive. Nei legumi, per esempio, si trovano insieme a minerali, vitamine, antiossidanti, fitoestrogeni e fibre. Nei semi oleosi sono in combinazione con acidi grassi essenziali altrimenti difficilmente reperibili. Di conseguenza, un menu prevalentemente vegetale, riduce l’apporto di colesterolo e grassi saturi e protegge dalle infiammazioni. Tanto più che le proteine vegetali hanno un effetto acidificante inferiore rispetto a quelle animali e riducono il rischio di essere contaminate dagli inquinanti ambientali, che in genere si accumulano più facilmente nei tessuti animali. C’è da aggiungere che il loro effetto sulla produzione di insulina è meno rilevante rispetto a quello delle proteine vegetali. Diverse ricerche associano una dieta ricca di proteine vegetali a una durata superiore della vita e a un’ incidenza inferiore di malattie degenerative, in particolare quelle cardiovascolari. Questo effetto protettivo è più accentuato quando ci sono fattori di rischio dovuti a soprappeso, fumo, abuso di alcol e sedentarietà.
Il modello mediterraneo è un’ ispirazione valida e ricca di gusto
L’antica saggezza del modello mediterraneo resta una valida ispirazione. Prevede, infatti, sapienti combinazioni di diverse fonti proteiche vegetali e animali. La classica pasta e fagioli con una spolverata di formaggio, oppure la zuppa di pesce con il pane tostato e gli ortaggi, o, ancora, la polenta con il latte, fanno parte di un repertorio di ricette tradizionali radicate nella cultura alimentare di diversi paesi. Gli ingredienti cambiano, secondo le aree geografiche, ma il principio di base è sempre lo stesso: valorizzare le risorse locali, nel rispetto dell’ambiente, in sintonia con il clima e la disponibilità di ingredienti, evitare sprechi, eccessi e mescolare un po’ di tutto, con la massima varietà possibile. Ci guadagna la salute senza trascurare il gusto e il piacere di mangiare.