In questo periodo ci si domanda se sia necessario parlare con i più piccoli della guerra, o se proteggerli da queste notizie.
Offro tre contributi alla discussione. Il primo proviene dalla cultura pop, il secondo da una antica leggenda, il terzo dalle riflessioni di due studiosi.
Di Tiziana Luciani
Una canzone che aiuta a riflettere
Il primo contributo è una canzone: “Come Away Melinda“, composta da Fred Hellerman e Fran Minkoff, che venne interpretata da Harry Belafonte nel 1963, diventando poi una cover prediletta da vari artisti. Ve ne propongo due strofe, ma vi consiglio di ascoltarla per intero:
“Papà, papà, vieni a vedere guarda cosa ho trovato poco lontano da qui mentre scavavo nel terreno
Vieni via Melinda entra e chiudi la porta non è niente, solo un album di foto di prima della guerra”
Il padre è reticente nel dare spiegazioni, nell’album ci sono le foto della mamma e di altre bambine, morte in guerra.
Una antica leggenda indiana
Il secondo contributo proviene da una antica leggenda indiana. Si racconta che il re Suddhodama, padre del principe Siddharta, volle tenere il figlio lontano dalla vecchiaia, la malattia, la morte. Il ragazzo visse beato ma, crescendo, la curiosità lo spinse a infrangere quel divieto, a uscire dalla reggia andando nelle vie della città, dove entrò in contatto con queste dimensioni della vita. Dobbiamo, come il padre di Melinda o quello di Siddharta, tenere lontano dalla realtà, che purtroppo comprende anche la guerra, figlie e figli? Ci sarà sempre una bambina che, tenace, scaverà nelle profondità del passato, un adolescente che con agilità salterà il muro della eccessiva protezione…
Ecco Il terzo contributo: Alfred e FranÇoise Brauner, lui sociologo dell’infanzia, lei pediatra e psichiatra infantile, affermano che hanno bisogno di esprimersi graficamente sulla guerra, sia i bambini e le bambine che ne fanno esperienza, sia i minori di nazioni non coinvolte nel conflitto. A seguito del disastro di Cernobyl, i due studiosi proposero a bambini e bambine di varie parti del mondo di disegnare su quel terribile evento. Se per lontananza geografica non erano stati esposti alle radiazioni, erano stati raggiunti dalle notizie in merito. Nei disegni avevano la possibilità di elaborarle.
Parlarne?
Quindi: dire o non dire della guerra? Lo sappiamo, i bambini e le bambine hanno invisibili antenne fra i capelli, con le quali captano quel che noi adulti diciamo, ma anche quel che non diciamo. Secondo alcuni genitori i loro figli e le loro figlie sono al sicuro, perché in casa i telegiornali sono banditi. Ma quelle brutte notizie arrivano lo stesso, attraverso i coetanei, i social, la scuola. Meglio affrontarle insieme, dedicando cura a questo momento di condivisione.
Un contributo personale
Offro un contributo personale: nel 1963 la sera del 9 ottobre avvenne il disastro del Vajont. Una frana precipitò dal monte Toc su un bacino idro-elettrico. La tracimazione di acqua e fango distrusse diversi paesi, morirono 1.197 persone, tra le quali 487 minori. Non avevo ancora 7 anni. Mio padre provò a spiegarmi quel che era successo. La sera per farmi dormire tranquilla mia madre mi diede un po’ di zucchero. Mi addormentai pensando a quelle parole e sciogliendo piano, piano i granelli dolci nella bocca.
Come parlarne?
Ogni età ha il suo linguaggio: se abbiamo figli e figlie in età della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, affrontiamo l’argomento con albi illustrati che, con un linguaggio metaforico, trattano questi temi. Se abbiamo figlie e figlie pre-adolescenti la familiarità con i videogiochi potrebbe indurli a vedere nel conflitto una replica di tali intrattenimenti. Con loro sviluppiamo l’empatia, attraverso storie di vita vissuta. Insieme recuperiamo un senso di auto-efficacia compiendo gesti concreti, che mettono al riparo dal cinismo e dalla sensazione di impotenza. E poi, sopra ogni altra cosa, educarli alla pace, alla risoluzione dei conflitti, alla ragionevolezza, al rispetto di sé e degli altri…
Concludo con una citazione di Alfred e Françoise Brauner, che hanno dedicato le loro vite ai bambini e alle bambine, vittime innocenti della storia: “Ciò che conta è istillare l’idea della pace fin dalla più tenera età. La pace significa amicizia, ed esclude la forza bruta e la morte”.[1]
Nel testo accenno agli albi illustrati che, con linguaggio metaforico, possono aiutare bambini e bambine della scuola dell’infanzia e della primaria ad approcciare il tema della guerra.
[1] Alfred e Françoise Brauner, Ho disegnato la guerra, Edizioni Erickson, Trento, 2003, pag.100.
psicologa-psicoterapeuta e arte terapeuta clinica. Docente della Scuola di formazione per arte terapeuti de La Cittadella di Assisi. Si occupa di formazione degli adulti dal 1980 nell’ambito: sanitario, sociale, educativo. Giornalista-pubblicista ha pubblicato: Se perdo te. Quando il lavoro manca (in collaborazione con Giovanni Grossi, Pliniana, 2013), E corrono ancora. Storie italiane di donne selvagge (Frassinelli, 2014), Eroine ed eroi in corso (Carthusia, 2021). Che forza! (con le illustrazioni di Bimba Landmann, Carthusia, 2021),
I come inquietudine (Cittadella Editrice, 2021). In uscita: La nostalgia dei sogni (in collaborazione con Alberto Terzi). Lavora a Perugia, Milano e Roma.
Frutta e verdura sono ricche di sostanze protettive, indispensabili per la salute. Non solo. La loro produzione può contribuire a dare forza alle economie locali e a favorire la protezione dell’ambiente. Lo afferma la FAO, organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
La Latteria di Chiuro, impegnata nella promozione di dieta e stili di via sostenibili, ha contribuito alla realizzazione di La natura che bontà, un progetto educativo rivolto alle scuole dell’infanzia creato da Magia Verde Onlus, con il supporto di Ersaf, Regione Lombardia, per promuovere il consumo di questi ingredienti preziosi. Tanti gli spunti forniti dalle scuole e dalle famiglie.
di Carla Barzanò
La natura che bontà!
Frutta e verdura sono alimenti naturali, senza additivi. Il loro gusto varia da stagione a stagione, è legato alla zona di produzione e al clima. Quando le mangiamo, assaggiamo un po’ di natura. Completamente naturali sono anche vitamine, minerali, fibre e altri principi attivi protettivi che frutta e verdura ci forniscono, capaci di contribuire ogni giorno al nostro benessere con un effetto che nessun integratore può sostituire.
Tanti gusti diversi da amare
Gli esperti raccomandano di utilizzarne almeno 5 porzioni al giorno. Un quantitativo che non sempre è facile raggiungere, soprattutto per i bambini, spesso abituati ai gusti standardizzati dei prodotti industriali, dove prevalgono sapori dolci e consistenze cremose. Diversi ortaggi, in particolare, vengono penalizzati per i loro aromi pungenti, che possono non incontrare il gusto infantile, analogamente all’acido degli agrumi, o al croccante delle mele, di primo acchito ostico per la masticazione. Eppure, proprio questa sfaccettata varietà è salutare per noi, promuove la biodiversità della natura e valorizza le risorse umane impegnate nella produzione agricola. Imparare ad apprezzarla è importante fin dalla più tenera infanzia. Ma come fare, con i bambini?
Esempio e esperienze condivise giocosamente
Spesso noi adulti ci scoraggiamo di fronte ai rifiuti dei più piccoli e a tavola finiamo a proporre sempre le solite cose. Capita, poi, che per motivi differenti anche i nostri gusti siano circoscritti a pochi ingredienti, che utilizziamo con ripetitività anche per risparmiare tempo. Così bambine e bambini non hanno la possibilità di fare quelle esperienze differenziate, che nella delicata fase dell’accrescimento rappresentano un’occasione unica, una vera e propria alfabetizzazione dei sensi e del gusto. In che modo aiutarli ad apprezzare la varietà? La tipica incitazione: “mangia, perché ti fa bene” risulta poco convincente. Bambini e bambine hanno difficoltà a proiettarsi nel futuro, quindi faticano a comprendere il concetto di prevenzione. Quello che invece li influenza in modo decisivo sono gli esempi di noi adulti, tanto più se resi più intensi da un’atmosfera emotiva gratificante, giocosa, che li mette in gioco in prima persona.
Cucinare e assaggiare con loro
Non c’è nulla di più convincente, per spingerli a superare pregiudizi e avversioni nei confronti di ortaggi e frutta, che mettersi in gioco insieme, a tavola e in cucina, preparare con loro alcuni ingredienti, condividere assaggi e sperimentazioni. Il progetto “La natura, che bontà!”, ha aiutato insegnanti e famiglie a sviluppare dei veri e propri laboratori di sperimentazione, per avvicinare frutta e verdura con gioia e curiosità, favorendo lo scambio reciproco di competenze fra generazioni. Bambine e bambini hanno partecipato con grande entusiasmo, senza alcuna forma di diffidenza o rifiuto, dimostrando che l’ambiente che si crea intorno a loro è determinante anche per la formazione del gusto. I filmati realizzati durante l’esperienza potranno ispirarvi per trasformare la tavola in un momento di apprendimento ricco di sorprese e di piacere. Guardateli!
Accudire sé stesse in un contesto assolutamente inedito di completa immersione nella natura, intervista a Ninja Leila.
Una natura incontaminata, nascosta e selvaggia, lo sguardo che spazia su una corona di monti di incredibile bellezza, un ponte nel cielo che fluttua leggero sospeso sull’abisso, il ponte Tibetano più alto d’Europa … è la val Tartano, magica valle sul versante orobico della Valtellina scelta da una giovane donna come luogo per vivere e dedicarsi alla sua passione per la montagna mettendo in pratica in prima persona, dopo una laurea in scienze ambientali e molteplici percorsi di formazione, uno stile di vita davvero in sintonia con la natura per comprenderla, rispettarla, tutelarla. Da qui l’idea di rendere partecipi anche altri, dai giovanissimi ai meno giovani, di “un’esperienza di vita semplice e al tempo stesso appagante”, offrendo percorsi dove l’attenzione e la sintonia con la natura, il movimento e il totale cambio di orizzonti, divengono la via per una reale “cura di sé”, per coltivare il benessere, superare stress e stanchezza, ritemprarsi nel contatto non mediato con l’ambiente naturale, imparando ad amarlo, valorizzarlo e riscoprendo una genuina gioia di vivere.
Abbiamo incontrato “Ninja Leila” accompagnatore di media montagna e gestrice del rifugio “Il Pirata”, in val Tartano. Ecco cosa ci racconta.
Leila, tu ti sei laureata a Milano e hai una laurea magistrale in scienze ambientali eppure, raggiunto questo risultato, hai deciso di ritirarti tra i monti, come ti è nata questa idea?
Ho sempre amato vagare nei boschi e tra le montagne. Mi piace soprattutto esplorare luoghi nuovi, il senso di libertà e di padronanza del proprio tempo che sì ha quando ci si muove senza ostacoli nella natura, così distante dalla frenesia e dalle regole cittadine. Per questo motivo ho puntato ad un lavoro che mi permettesse di muovermi in ambienti naturali e al tempo stesso di far conoscere la loro unicità anche ad altre persone. Ho scelto di diventare una guida escursionistica. Da questo è nata poi l’occasione di gestire un rifugio in montagna.
È stato difficile abbandonare la città con le sue abitudini e le sue relazioni e ricostruire una quotidianità in un contesto così diverso?
No anzi, è stata una risposta “istintiva” alla vita ed al lavoro stressante della città. Non è stato per me un brusco cambiamento dal mio precedente stile di vita o un’inversione di rotta, ma il normale proseguimento della strada che stavo percorrendo. Appena avevo del tempo libero girovagavo nel parco vicino casa o per le montagne e così è adesso. Le mie abitudini non sono cambiate, ma al tempo stesso il pieno vivere in montagna mi ha permesso di “reimparare”, prendendo a modello la natura e i suoi ritmi, uno stile di vita armonioso che sono convinta sia un vantaggio sia per il singolo che per le relazioni collettive.
La montagna dunque è una scelta di vita, come si sente una giovane donna a vivere così isolata, anche d’inverno in mezzo alla neve, in un rifugio in alta montagna?
Le giornate trascorse al rifugio mi danno un grande senso di tranquillità e pace. La gente che passa è in giro per divertirsi, allegra e di buon umore, per cui i rapporti con gli altri sono piacevoli. Spesso poi gli abitanti dei paesi sottostanti passano a salutare, per cui non mi sento sola. Non mi è mai capitato di annoiarmi, le cose da fare sono sempre tante. In realtà non è nemmeno che mi senta particolarmente isolata, d’estate arriva la strada e anche d’inverno con la neve ci si può muovere con ciaspole o sci per raggiungere il paese più vicino. Inoltre, anche se nei dintorni il telefono non prende, al rifugio è presente una linea telefonica fissa ed internet.
Quali affinità hai trovato tra montagna, equilibrio e salute?
Le giornate e le attività sono scandite dalle ore di luce e dal tempo atmosferico. Ci si rende conto come molte delle esigenze che abbiamo al giorno d’oggi siano in realtà superflue e non necessarie. Questo penso permetta di trovare un nuovo equilibrio in sé stessi e di osservare le cose sotto una luce diversa. E le sorprese sono continue, come volgendo casualmente lo sguardo fuori dalla finestra, vedere un tasso che tranquillamente curiosa davanti al rifugio in cerca di qualche cosa di commestibile o osservare una faina che si aggira di notte…anche il rapporto con gli animali diviene consuetudine e si impara a conoscerli…
Quando hai pensato di insegnare ad apprezzare questo stile di vita e questa incredibile natura montana e ad imparare da essa?
Quando ho capito che l’ambiente montano, per me così naturale, era quasi sconosciuto a gran parte delle persone. Quando ho notato le difficoltà che avevano alcuni a muoversi in questo ambiente ed al tempo stesso quando ho osservato la meraviglia e la gioia nei loro occhi, per i paesaggi, i colori e i sapori nuovi. Per una persona che vive in città, quelle che per i montanari sono semplici consuetudini, posso acquistare un grande valore ed essere delle scoperte meravigliose. La montagna può insegnare ad affrontare la vita in modo diverso, ed al tempo stesso imparare a conoscerla permette di meglio apprezzarla e tutelarla.
A chi si rivolge l’ospitalità del rifugio e la tua attività di guida alpina?
A tutti coloro che vogliono trovare un luogo dove rilassarsi e respirare un’aria diversa, mangiando e bevendo in compagnia. A coloro che vogliono meglio scoprire l’ambiente montano e come ci si muove in esso, senza la fretta di arrivare ad una meta fissata per poi tornare subito indietro per un impegno.
Per poter fare l’accompagnatrice in montagna, iscritta al collegio delle guide alpine, hai seguito un percorso di formazione, quali sono gli aspetti più significativi e cosa consiglieresti ad altri giovani che volessero seguire il tuo esempio?
Per poter diventare accompagnatore di media montagna è necessario seguire un corso regionale organizzato dal collegio delle guide alpine e superarne l’esame finale. Indispensabile per poter accompagnare della gente in montagna sono le conoscenze per aumentarne la sicurezza e ridurre il rischio di incidenti. La montagna rimane sempre e comunque un ambiente con dei pericoli oggettivi, che possiamo solo cercare di prevenire. Questo corso richiede dedizione e impegno ma, devo dire, fornisce un’ottima preparazione.
Come contattarti per partecipare ai soggiorni e ai percorsi che organizzate?
E’ molto semplice, basta scrivere alla mail rifugioilpirata@gmail.com o chiamare al numero del rifugio 0342645086.
Cresciuta tra Italia e Giappone, ha imparato a conoscere e amare la montagna, che la sua famiglia le ha fatto incontrare, fin da quando è nata. Ha sempre seguito la sua passione partecipando ad attività di volontariato e formazione sulla conservazione della natura attraverso il monitoraggio di invertebrati, anfibi, uccelli, mammiferi di interesse comunitario, nell’ambito del progetto Life ESC360 e del Corpo europeo di solidarietà. Dopo una laurea triennale e una magistrale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente presso l’Università di Milano Bicocca, ha continuato ad occuparsi di “salvaguardia” della natura attraverso corsi di avviamento agli studi faunistici nel Parco Naturale di Paneveggio e delle Pale di San Martino, campi di volontariato presso il Parco Nazionale della Majella e partecipando alle attività di censimento del cervo e dei nuclei famigliari di lupo del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi… Ha conseguito l’attestato di abilitazione alla professione di Accompagnatore di media Montagna e da fine 2019 è iscritta al Collegio Guide Alpine Lombardia. Da allora ha iniziato ad organizzare settimane estive per bambini presso il rifugio Il Pirata, come educatore e guida escursionistica .
Attualmente vive in val Tartano e per la sua grande agilità e la sua storia tra Italia e Giappone gli amici la chiamano Ninja Leila.
5 aprile, giornata mondale dell’ambiente: bambini e musicisti insieme per proteggere il pianeta
Accompagnare e sostenere percorsi educativi volti a sviluppare una maggiore consapevolezza nei confronti del salvaguardia dell’ambiente, delle risorse umane e delle buone pratiche necessarie per perseguire questi obiettivi, rappresenta una priorità imprescindibile per assicurare il benessere delle generazioni future. Abbiamo quindi scelto di partecipare attivamente alla realizzazione del nuovo progetto Terra ti voglio bene, nato in occasione del cinquantenario della festa della terra e orientato all’educazione alla sostenibilità nelle scuole primarie. Desideriamo presentarvelo in occasione della giornata mondale dell’ambiente.
I bambini portavoce di messaggi di pace e di speranza
“Racconto perché voglio bene alla terra e cosa desidero fare per proteggerla. Realizzo un disegno che lo illustra e lo completo con una frase che invita i miei amici e compagni a seguire il mio esempio” È questo il compito che è stato affidato a bambine e bambini delle scuole primarie nel progetto Terra ti voglio bene che ha coinvolto 20 scuole e oltre 600 bambini di diverse regioni -Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Puglia- mettendo in rete progetti già attivi e risorse educative sui temi della sostenibilità. Un percorso creato per superare con l’immaginazione questo periodo difficile, che ha allontanato i bambini dalla scuola e in molti casi anche dalla natura. Gli insegnanti hanno focalizzato l’attenzione sul legame con la natura e con l’ambiente, invitando gli allievi a concentrarsi sui diversi aspetti percepibili anche restando a casa, e chiedendo loro di farsi portavoce di una comunicazione volta a dare un messaggio di speranza, pace e impegno per il futuro. Bambine e bambini hanno colto con entusiasmo la sollecitazione elaborando disegni e messaggi di grande intensità. Raccontano l’incanto dei fiori sbocciati sul davanzale della finestra, le dinamiche che nascono a casa, attorno a casa, nella piazza di cui stanno progettando di coltivare le aiuole. Celebrano così l’intreccio fra uomo, cultura e natura, e riflettono sui comportamenti quotidiani da modificare per proteggere l’ambiente impegnandosi ad attuarli.
Desiderio di cambiamento e fiducia nella comunità
Il materiale elaborato evidenzia quanto anche i più giovani siano toccati dal degrado ambientale e lasciano intravedere il loro timore nei confronti del Coronavirus. Emerge, però, anche un forte desiderio di cambiamento, accompagnato dalla consapevolezza che è necessario unire le forze. Moltissimi bambini hanno messo in luce che assieme potranno dare forma a un futuro migliore per il nostro pianeta mostrando speranza e fiducia nella comunità.
La forza delle sinergie
Sostenuto e promosso dal programma Andriani Educational di Andriani S.p.A., azienda leader nel settore dell’alimentazionesostenibile, il progetto Terra ti voglio bene nasce dalla collaborazione fra Rete Dialogues, comunità di educazione alla cittadinanza globale, insieme alla Piana del cibo, associazione che coinvolge numerosi Comuni della piana agricola di Lucca con l’intento di promuovere buone pratiche nella direzione della sostenibilità, Slow Food Compitese, e Magia verde Onlus, impegnate nella stessa direzione. Per la zona di Pavia ha preso parte al progetto anche Italia nostra con il sostengo dell’Onlus Cambiamo e del Ministero dell’Ambiente. Il riscontro positivo dei partecipanti, mostra il valore di costruire sinergie fra competenze ed esperienze differenti, che rafforza i legami fra i diversi interlocutori e aiuta ad affrontare questa fase impegnativa.
Dare radici alla sostenibilità: bambini e musicisti insieme in un museo virtuale
Il progetto continua, anche dopo la giornata mondiale della terra, per consolidare il dialogo su questi temi. Disegni e pensieri di bambini e bambine sono stati raccolti in filmati diversi, regione per regione, sostenuti dai preziosi contributi di validi musicisti. È nato così un museo virtuale che offre ai giovani artisti la possibilità di approfondire le tematiche in gioco fra loro e con gli insegnati, attraverso una didattica collaborativa che consente lo scambio a distanza. In alcune realtà i filmati verranno condivisi con gli amministratori locali perché traggano spunto dai messaggi dei bambini per ispirare i cambiamenti necessari per il nostro futuro nella direzione della sostenibilità.
Affrontare una separazione è sempre un percorso complesso e faticoso. Una esperta ci aiuta a comprendere meglio le possibili strade da percorrere.
Chiariamo un equivoco ricorrente
Care Amiche, accade ormai di frequente che le persone intenzionate a separarsi ricorrano al legale e, nello studio dell’avvocato, spesso senza il partner, chiariscano subito un punto preliminare, che si può riassumere nell’ affermazione “intendo separarmi consensualmente. Non voglio una separazione giudiziale“. Questo assunto valido in principio e comprensibile richiede però qualche spiegazione. Perché si puntualizza di non volere una separazione giudiziale? Perché le notizie che arrivano da fonti diverse, che vanno dalle esperienze di amici, alle trasmissioni televisive, agli articoli di quotidiani e periodici, sono conformi: la separazione giudiziale è un procedimento lungo, esaspera le coppie già in difficoltà mentre vivono i primi tempi della separazione; i costi economici sono sicuramente maggiori rispetto ad una separazione che “nasce” consensuale. Tutto vero, ma un po’ semplificato e qui vediamo se riusciamo a dipanare qualche equivoco. Innanzitutto precisiamo un dato che può apparire ovvio, ma accade che non lo sia: per presentare una separazione consensuale, o un accordo di negoziazione assistita (che è l’equivalente) occorre trovare, appunto, un accordo.
Separazione consensuale significa accordo sui tre temi principali
Accordo, vuol dire che le parti hanno stabilito:
quale genitore rimarrà nella casa coniugale;
quanto sarà l’assegno di mantenimento che l’altro genitore versa per i figli e, se la situazione lo consente, per la moglie;
quali saranno i tempi che i figli trascorreranno con l’”altro genitore” con il quali non convivono.
Se la coppia ha trovato un accordo su questi tre punti essenziali, (ai quali si possono aggiungere altri accordi che riguardano la loro situazione particolare) la separazione giudiziale può senz’altro essere evitata. Ci sono gli estremi per avviare subito una separazione consensuale o redigere un accordo di negoziazione assistita.
Per completezza aggiungo che la separazione consensuale consiste in un ricorso redatto dall’avvocato per entrambi i coniugi: il ricorso viene depositato in tribunale e dopo 3 o 4 mesi si svolge l’udienza in Tribunale davanti al giudice per confermare l’accordo contenuto nel ricorso
L’aspetto che invece rimane sullo sfondo come un timore che può apparire giustificato ma deve essere chiarito è la separazione giudiziale.
Cosa significa separazione giudiziale?
Significa che uno o entrambi i partner della coppia intendono avviare la separazione ma non hanno ancora trovato un accordo su tutti o anche su uno dei tre punti indicati. Ad esempio, non hanno deciso:
Chi rimane nella casa familiare con i figli?
Quali giorni (della settimana) e quanti giorni e quali periodi di vacanze i figli trascorrono con l’uno e con l’altro genitore?
Quanto versa il genitore che non convive con i figli per il mantenimento della prole?
Se la situazione lo richiede: quanto versa il coniuge economicamente “più forte” come mantenimento per il coniuge economicamente “più debole”?
Questi problemi aprono lo spazio a molte possibili discussioni e soluzioni che dipendono dal reddito di ciascuno dei genitori, dal tempo che i figli trascorrono sia con il genitore con il quale non convivono, sia con quello con cui convivono “in via prevalente”.
Tutte le questioni sulle quali la ex coppia non riesce a trovare un accordo sono decise dal Tribunale, con tempi che variano moltissimo (mediamente da un anno a quattro anni) a seconda della situazione.
Può essere vantaggioso avviare la separazione giudiziale?
Premessa
Da quanto abbiamo accennato la separazione giudiziale sembra l’ultima spiaggia, il mostro che si deve cercare di evitare per non dover trascinare in tribunale liti che possono protrarsi per anni e che spesso, quasi inevitabilmente, coinvolgono anche i figli.
Tutto ciò è sicuramente vero, ma occorre una puntualizzazione, che in certi casi può rappresentare una sorta di “terza via”.
Per descriverla ricorro ad un esempio frequente. Lei/lui decide di separarsi ma l’altro/a non vuole o vuole condizioni di separazione diverse da quelle proposte dall’ex partener.
Il primo/a si rivolge all’avvocato e chiede di avviare il procedimento, ma, ritorniamo al punto iniziale, vuole una separazione consensuale.
L’avvocato inizia una trattativa con la controparte ma, nel caso che qui descrivo, la trattativa non porta ad alcun risultato: a volte perché l’altra parte non vuole separarsi e rema contro ogni accordo, a volte perché pur riconoscendo entrambi la necessità di separarsi non riescono a trovare un punto di incontro sui tre/quattro punti descritti sopra.
Le trattative possono proseguire per mesi e mesi, in un clima di stress e con una fatica spesso accentuata dalla permanenza in casa della coppia, perché chi normalmente deve lasciare il domicilio coniugale si rifiuta di farlo. Le conseguenze di una convivenza mentre “pende” nella mente di ognuno la separazione si riflette pericolosamente sul clima familiare che rischia di diventare gravemente nocivo per tutti.
Può essere molto difficile cercare una soluzione condivisa rimanendo sotto lo stesso tetto. Può essere anche molto doloroso per i figli. Accade anche che, dopo mesi e mesi di discussione non si raggiunga alcun accordo e così esasperati si ripieghi sulla separazione giudiziale.
La possibile utilità di un “avvio” giudiziale
Come funziona, cosa provoca il deposito di una separazione giudiziale? L’avvocato deposita un ricorso con il quale afferma che la signora Rossi (o il signore Bianchi) intende separarsi, alle condizioni che propone e che vengono precisate in detto ricorso (i tre/quattro punti di cui abbiamo detto sopra). Non occorre fare altro. Siamo in una fase che, tecnicamente, è definita “precontenziosa”. Non occorre “sparare” addosso all’altro, ma solo cercare una soluzione soddisfacente. Sottolineo questo approccio neutro, perché nella fase “precontenziosa” è utile evitare l’aggravamento del conflitto con considerazioni sull’altro partner, anche perché il giudice di regola non può prenderle in considerazione. Le valuterà, se le parti vogliono proseguire, “dopo”, finita la fase “precontenziosa”. Depositando questo ricorso l’avvocato e il suo cliente ottengono un effetto importante: la fissazione di un’udienza, l’indicazione cioè di un giorno e un’ora in cui le parti si troveranno davanti al giudice per decidere i tre/quattro temi sopra menzionati.
Un altro dato di rilievo: dal deposito del ricorso alla data dell’udienza decorre un tempo di circa tre – quattro mesi (lo stesso tempo richiesto per ottenere un’udienza per confermare la separazione consensuale). Durante questo periodo, dopo il deposito di un ricorso “giudiziale”, le parti hanno la possibilità di continuare la trattativa sapendo che: se la trattativa si concluderà porteranno l’accordo all’udienza e la separazione si trasformerà in consensuale. L’accordo viene recepito dal Tribunale come se fosse stato depositato nella separazione consensuale. Abbiamo così lo stesso risultato. Depositando il ricorso giudiziale abbiamo l’effetto di “prenotare” un’udienza, utilizzando il periodo che precede per trovare un accordo.
Se in questi mesi non si riesce a trovare una conciliazione, si ottiene comunque un risultato: una data, un giorno, un’ora in cui il tribunale si pronuncia sui tre/quattro temi già indicati dopo aver sentito le parti e i loro avvocati che espongono i rispettivi punti di vista in questa stessa udienza.
Il giudice è tenuto a emettere i provvedimenti nel giro di pochi giorni, spesso lo stesso giorno dell’udienza. In questo modo si garantisce al partner che ha assunto l’iniziativa della separazione:
la decisione sull’assegnazione della casa, con conseguente uscita dell’altro genitore,
la quantificazione del contributo economico per il mantenimento dei figli che rimangono nella casa coniugale con il genitore con il quale vivono in via prevalente.
Preciso che si tratta di una decisione provvisoria, nel senso che se le parti non accettano il provvedimento del Tribunale il processo proseguirà per chiederne la modifica. Però un provvedimento è ottenuto e con quello anche l’autorizzazione a vivere separati. Il provvedimento sugli aspetti economici segna spesso anche la posizione del giudice su quel processo e può essere importante per agevolare una soluzione consensuale.
Care amiche spero che l’esposizione sia stata accessibile. Il tema trattato è comunque comprensibilmente complicato e richiedere approfondimenti, soprattutto per le specificità di ogni caso concreto. Per questo sono a disposizione per chi desideri ulteriori chiarimenti.