La guerra è come una macina…
In questo nuovo contributo, Tiziana Luciani ci accompagna in un viaggio poetico e potente nel cuore della fragilità umana. Attraverso le immagini dei semi e le opere di Käthe Kollwitz, la riflessione intreccia arte, memoria e diritti dell’infanzia, trasformando il dolore delle guerre in un appello universale alla cura della vita.
Un testo che invita a “nutrire gli inizi” — a proteggere, con rispetto sacro, i semi del futuro: i bambini e le bambine di ogni tempo e luogo.
I semi e la memoria della vita
Il mondo vegetale ci offre preziose metafore poetiche, con le quali conoscere e raccontare le nostre esistenze. Prendiamo i semi, ad esempio: ne abbiamo di microscopici e di grandissimi, possono avere bisogno di penombra oppure di sole pieno. Alcuni hanno le ali per spostarsi con il vento, altri hanno degli uncini per aggrapparsi alla pelliccia degli animali o alle nostre scarpe.
I semi si spostano, per cercare il luogo migliore per crescere.
I semi sono delle potenzialità preziose e rappresentano l’infanzia, la crescita, le possibilità. Averne cura, e custodirli, è un compito individuale e di comunità.
Nel segno dei semi
Una grande artista del secolo scorso, la tedesca Käthe Kollwitz (1867-1945), fa ricorso alla metafora dei semi per elaborare due terribili lutti.
Käthe ebbe due figli: Hans e Peter. Perse quest’ ultimo, il minore, nel corso della Prima guerra mondiale. Hans, il maggiore, chiamò suo figlio come lo zio scomparso. E Peter junior morì durante la Seconda guerra mondiale. L’artista, alla quale due guerre avevano strappato un figlio e un nipote, intitolò nel 1942 una sua litografia con una citazione tratta da “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister” di Goethe: “Saatfrüchte sollen nicht vermahlen werden” (Il grano da semina non deve essere macinato).
Ogni volta che guardo quest’ immagine percepisco una disperazione che si trasforma in opposizione. La potenza di questa litografia di Kollwitz ci raggiunge in ogni epoca, per contrastare tutte le possibili guerre.
Ritrae un’anziana madre, l’artista stessa, che con il suo corpo si fa scudo e protezione per dei bambini. Sono quelli i semi che vanno preservati, sotto le sue poderose braccia così come, sotto il manto protettivo della terra, altri semi devono poter crescere in pace.
La guerra macina implacabilmente le promesse della vita, stritola anzitempo il futuro
La poetessa statunitense Muriel Rukeyser (1913-1980) in una raccolta poetica del 1968, intitolata “The speed of darkness”, rielabora l’esperienza vissuta dell’ictus. Sfogliandone le pagine trovo una poesia intitolata “Käthe Kollwitz”, nella quale compaiono i due Peter perduti.
L’incontro, stretto come un abbraccio, fra l’artista tedesca e la poetessa statunitense avviene nel segno dei semi.
Nutrire gli inizi: il diritto alla vita
Quelle promesse di vita, quei semi-bambini che le braccia forti di Käthe proteggono con fierezza, sono evocati anche da Muriel, che così ci esorta:
“Nutrire gli inizi,
fateci nutrire gli inizi.
Non tutte le cose sono sacre,
ma i semi di tutte le cose sono sacri”
Tutti gli inizi, le infanzie di tutti i bambini e di tutte le bambine del mondo, meritano un sacro rispetto.
Da questo devono scaturire azioni concrete, in linea con l’articolo 6 della “Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, e ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176. Leggiamolo:
“Articolo 6
-
Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita.
-
Gli Stati parti assicurano, in tutta la misura del possibile, la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo.”
Il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo è che quello consente a un seme di svolgere il suo compito evolutivo, sino a trasformarsi in una pianta.
E’ il basilare diritto all’esistenza e alla crescita.
Se non riusciamo ad assicurarlo, “nella misura del possibile”, e -direi- dell’impossibile,
è il mondo che ci perde.
Cosa sarebbero potuti diventare quei semi, precocemente triturati dalla pesante macina della guerra? Cosa avrebbero potuto donare a se stessi/e, alle loro famiglie, alle loro comunità, al mondo intero? Non lo sapremo mai…
Abbiamo perduto per sempre le loro storie: le pagine che li -e le- riguardano sono state strappate dal Grande Libro dell’Umanità.
In una sua poesia Rukeyser scrisse:
“L’universo è fatto di storie, non di atomi”
Nelle guerre perdiamo tante, troppe storie, che non saranno vissute e non potranno più essere raccontate. Tanti sacchi di semi che mai più riusciranno a germogliare.
L'autrice
L'autrice
