Paola Dorigoni
Modifiche alla disciplina della separazione e del divorzio nel disegno di legge in data 1 agosto 2018
di Paola Dorigoni
Care Amiche, vi scrivo per aggiornarvi su recenti (possibili) novità in tema di separazione e divorzio.
E’ stato pubblicato ad agosto scorso un disegno di legge che, in caso di approvazione, comporterebbe modifiche determinanti nella disciplina della separazione e divorzio dei coniugi. Come forse avrete già letto nei quotidiani, tali modifiche non sarebbero sicuramente a favore delle ex mogli o partner femminili.
I punti della legge…
Per comprenderle meglio occorre riassumere i punti che vengono trattati in sede di separazione familiare, precisando che ogni distinzione tra coppia sposata e non, è venuta meno da tempo. Ciò significa che le modifiche riguardano entrambe le posizioni.
Detti punti sono:
1.- l’assegnazione della casa familiare. Sino ad ora la casa familiare era assegnata al partner con il quale i figli vivevano in via prevalente.
Va precisato che nella maggioranza dei casi (oltre il 90%) la madre è il genitore con la quale i figli vivono stabilmente, ovvero, ripetendo l’espressione utilizzata nei tribunali, in via prevalente.
Qui inizia la prima differenza. Il disegno di legge non prevede alcun automatismo: il Giudice deciderà di volta in volta, anche in considerazione della titolarità dell’immobile, quale genitore potrà continuare a rimanere nella casa familiare.
2.- L’affido dei figli minori
Il discorso si ripete, perché nel disegno di legge è scritto che “si garantiscono tempi paritari qualora anche uno solo dei genitori ne faccia richiesta. Si garantisce comunque la permanenza di non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psicofisica dei figli in casi tassativamente individuati”
Viene meno quindi la collocazione prevalente presso la madre nella casa familiare ora prevista nella maggioranza dei casi, che, come si è detto sopra, supera il 90%.
3.- il terzo punto è una conseguenza. L’assegno di mantenimento per i figli non è più contemplato, ma entrambi i genitori provvederanno alle spese per i figli quando questi si trovano rispettivamente presso l’uno o l’altro genitore.
…e le sue “criticità”
La maggioranza degli “addetti ai lavori” è decisamente contraria alle modifiche qui sintetizzate.
In particolare, i cosiddetti tempi paritari presso ciascun genitore suscitano in chiunque l’idea del bambino/ ragazzo “pacco” che si trova senza una fissa dimora.
Anche la suddivisione delle spese crea potenziali conflitti.
Chi compra le scarpe? Quando il figlio è con il papà o quando è con la mamma? Se un genitore compera vestiti di scarsa qualità, mentre l’altro vorrebbe acquistarne di qualità migliore (non stiamo pensando ora ai vestiti “firmati”) come ci si coordina? Ognuno dei due può cercare di addossare all’altro le spese che rientrano nel concetto di mantenimento (vestiario, paghetta per il figlio adolescente, spese di benzina, cancelleria, ticket sanitari etc.).
Quando i genitori faticano a parlare tra di loro, non appare produttivo caricarli di altre decisioni quotidiane.
Una soluzione “salomonica”
Non si vuole privare il padre del diritto di crescere il figlio ma, come tanti educatori sostengono, non è la quantità del tempo, ben altri fattori piuttosto incidono sul
rapporto genitore e figlio, quali: la qualità del tempo, la stabilità, la coerenza, insomma tanti altri indici che si esprimono nel concetto del genitore “sufficientemente buono” (la definizione è del noto psicologo Donald Winnicott).
Introdurre il concetto della “metà del tempo” a ciascuno, richiama la soluzione del re Salomone che, a fronte del litigio di due madri che si contendevano il
figlio, sostenendo ciascuna che fosse il proprio, decise: per accontentare entrambe dispongo che il figlio sia diviso in due!
Si vuole concludere questa breve riflessione sottolineando che le soluzioni prospettate dal disegno di legge, quali la suddivisione dei tempi con ciascun genitore secondo il principio temporale della pariteticità, e di conseguenza, il venire meno sia dell’assegno di mantenimento, sia dell’assegnazione della casa coniugale al genitore con i quale i figli vivono in via prevalente, rischiano di aggravare il conflitto tra i genitori.
Il tutto, come spesso accade, a spese dei più deboli, tra i quali rientrano innanzitutto i figli.
Affrontare la separazione personale dal coniuge o dal partner: il supporto alle donne
Un percoso di orientamento in quattro puntate guidato dall’avvocato Paola Dorigoni, esperta in diritto di famiglia.
La separazione dal coniuge o dal partner è un evento che sconvolge spesso profondamente la vita delle persone.
E’ un trauma che scuote dalle radici.
Ma è anche un processo di rinnovamento, un’occasione per acquisire una maggiore consapevolezza di sé.
In questa sede tuttavia non parlo delle conseguenze emotive della fine del rapporto di coppia né del rapporto tra cliente e avvocato: quando ci si incontra e si prendono decisioni in materia di separazione/divorzio.
Anche questo è un punto che può essere molto delicato, perchè l’avvocato segue, accompagna il cliente in un periodo in cui, nonostante le difficoltà, si deve essere in grado di prendere decisioni importanti, potenzialmente valide per un lungo periodo della propria vita.
Se vi interessa tratteremo questo tema.
Ora vorrei proporre una descrizione sintetica, ma spero esauriente, dei temi e delle decisioni che vengono prese quando il rapporto di coppia finisce.
Mi auguro così di poter completare le notizie sulle conseguenze della separazione e del divorzio, a volte frammentate, a volte non completamente corrette, che spesso si possiedono su questo tema.
Innanzitutto consideriamo che la separazione comporta la decisione sui seguenti punti cruciali:
1- l’assegnazione della casa coniugale;
2- l’affidamento e la collocazione dei figli minori o economicamente non autosufficienti;
3 – i diritti di visita del genitore “non collocatario” (spiegheremo poi la differenza tra il concetto di affidamento e di collocazione);
4 – l’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente non autosufficiente.
I punti sono quattro, ma possono ridursi se il coniuge è economicamente autosufficiente, o se non ci sono figli.
Il quarto punto poi non esiste quando si separa una coppia non unita in matrimonio, perché il nostro ordinamento (nonostante le discussioni in proposito da oltre un decennio) non riconosce alcun diritto economico all’ex partner se non è sposato.
L’ assegnazione della casa coniugale/familiare
Espongo subito il primo punto: l’ assegnazione della casa coniugale/familiare.
Si parla di casa coniugale quando la coppia è sposata, di casa familiare quando la coppia non ha contratto matrimonio.
Non ha importanza la proprietà della casa: anche se la casa fosse dell’altro partner, la presenza di figli economicamente non autosufficienti giustifica il diritto del partner cui i figli vengono affidati, ad avere la possibilità di abitare.
Il principio vale anche per il partner non sposato: il genitore con il quale i figli convivono (in genere la madre) può rimanere nella casa familiare anche se è di proprietà del padre o, pure, dei genitori del padre.
La casa comprende anche l’arredamento perché ai figli viene assicurato intatto il così detto “habitat”, cioè l’ambiente in cui il figlio vive.
E’ naturale infatti che per un bambino (ma lo stesso vale se il figlio è adulto), la casa spogliata dai mobili non sia più lo stesso ambiente di prima, che invece ai figli va preservato.
Concludo questo primo punto precisando i due concetti espressi:
- diritto di abitare la casa familiare anche quando i figli sono maggiorenni purché non siano economicamente autosufficienti;
- diritto di continuare ad abitare nella casa coniugale di proprietà di terzi (un caso tipico: i genitori del marito, pur rimanendo proprietari hanno adibito una loro casa a residenza della famiglia del figlio);
Entrambi questi diritti hanno dei limiti, che valgono in particolari circostanze.
Se qualcuno fosse interessato ad approfondire per avere informazioni su questo o altri punti, potrà contattarmi al mio indirizzo di posta elettronica
Proseguirò la trattazione del prossimo punto: affidamento e collocazione dei figli minori o economicamente non autosufficienti, su questo sito tra 10 giorni.
Nel frattempo un caro saluto
Paola Dorigoni
Per separarsi o divorziare non è più’ necessario ricorrere al Tribunale, di Paola Dorigoni
E’ possibile ora separarsi, divorziare, modificare le condizioni stabilite nella separazione e nel divorzio senza ricorrere al Tribunale.
La procedura, introdotta dalla legge 10.11.2014/162, può essere eseguita dagli avvocati evitando ai coniugi l’udienza in Tribunale.
Dopo aver concordato con i propri clienti le condizioni della separazione o del divorzio, gli avvocati (uno per ciascun coniuge) presentano la convenzione in Tribunale al Pubblico Ministero, il quale emette un provvedimento di autorizzazione.
Entro dieci giorni dal consenso del Pubblico Ministero, gli avvocati depositano l’accordo in Comune, dove viene annotato all’atto di nascita e all’atto di matrimonio.Il procedimento è concluso.
Quali sono le differenze introdotte dalla legge 162/2014?
In precedenza le parti erano obbligate a presentarsi in Tribunale ad un‘udienza fissata appositamente a seguito della loro richiesta di separazione/divorzio.
Il verbale di separazione seguiva una breve procedura che si concludeva con l’omologazione, mentre il divorzio era deciso con sentenza.
Qual è il senso di questa modifica?
Nei procedimenti di separazione e divorzio “consensuali” – quando gli ex partner riescono a raggiungere un accordo sui temi essenziali: assegnazione della casa coniugale, affidamento figli e assegno di mantenimento, si libera il Tribunale da adempimenti che erano ormai del tutto burocratici.
E’ giusto osservare che si snellisce la procedura ma il problema di fondo rimane inalterato.
Il punto nodale per gli ex partner, infatti, non è la semplificazione procedurale, ma la ricerca e il raggiungimento di un accordo sui punti sopra sintetizzati.
In questo campo può essere utile il ricorso alla mediazione familiare. Uno strumento che, quando è possibile, facilita la comunicazione tra i coniugi nella ricerca di un accordo che gli ex partner sentono equilibrato.
Un’ultima precisazione: la procedura non si applica ai partner non sposati, i quali sono quindi ancora tenuti a rivolgersi al Tribunale.
Sembra che, semplicemente, si siano dimenticati.
Dimissioni volontarie già sottoscritte: quello che dobbiamo sapere, di Paola Dorigoni
Recentemente qualcuno ha segnalato il problema delle dimissioni delle lavoratrici madri già sottoscritte al momento dell’assunzione o comunque prima di una gravidanza.
Vorrei tranquillizzare chi si fosse trovata in questa situazione o temesse di potervisi trovare essendo stata costretta a firmare un contratto con tale clausola.
Le dimissioni così formalizzate non sano valide e possono essere impugnate dalla lavoratrice, che potrà rivolgersi all’avvocato di fiducia ovvero alle organizzazioni sindacali, per avere una adeguata tutela.
Non solo: anche nell’anno successivo alla nascita del proprio figlio le dimissioni sono considerate “sospette” di essere la conseguenza di pressioni esercitate da parte del datore di lavoro.
Per essere valide quindi e valide in questo caso significa inoppugnabili debbono essere convalidate alla presenza di un funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro, dove la lavoratrice, che intende realmente rassegnare le proprie dimissioni, dovrà recarsi personalmente (non sono ammesse deleghe) e compilare un modulo che indica le possibili ragioni della decisione.
Chi dunque, durante tutto il periodo protetto, che va dall’inizio della gravidanza sino a un anno di vita del bimbo, avesse presentato le proprie dimissioni senza seguire questa procedura potrà rivedere la propria posizione poiché, come precisato, si tratta di un atto non valido.